Domenica 22 ottobre la Chiesa Cattolica celebra san Giovanni Paolo II. La memoria viva del papa santo è di aiuto – con il suo insegnamento e la sua testimonianza personale, nella forza dei primi anni e nella debolezza degli ultimi giorni – in questo momento in cui sia nella chiesa che nel mondo intero sembrano prevalere i venti della divisione, dell’odio, dell’incertezza nel futuro.
Torno con la memoria all’autunno di trent’anni fa: 1993, l’Italia è squassata da tangentopoli. La scoperta di fenomeni diffusi di corruzione nelle forze politiche che avevano governato il paese fino a quel momento, garantendone la prosperità e la pace, sono messe sotto accusa non solo dalla magistratura ma anche da un’opinione pubblica aizzata dalle campagne mediatiche di tutti i principali giornali e reti televisive. (Apro una parentesi per evidenziare come dopo trent’anni quell’accanimento non ha portato bene al sistema dell’informazione, visto il crollo delle vendite dei giornali e l’abbandono delle televisioni a favore dei social media soprattutto dai più giovani).
L’unità della nazione è messa in discussione, al nord, dal travolgente successo della Lega di Bossi che occupa lo spazio fino a poco prima occupato dalla Democrazia Cristiana: la Lega in primavera aveva vinto in tutte le città andate al voto amministrativo, compreso Milano.
I partiti di governo si sfaldano, alcuni scompaiono del tutto: una pusillanime leadership democristiana si vergogna della propria storia e del ruolo avuto per il bene dell’Italia (realtà innegabile al di là degli inevitabili errori e deviazioni) e forse anche della sua “cristianità” e torna al vecchio nome dato da Sturzo in un contesto storico ben diverso.
Giovanni Paolo II è il primate d’Italia e prende su di sé il dramma che sta attraversando il paese. Nel giro di pochi mesi interviene esplicitamente per quattro volte sui problemi dell’Italia.
Una prima volta a settembre 1993 con il messaggio inviato alla Settimana Sociale dei Cattolici che aveva per tema “Identità nazionale, democrazia e bene comune”. In seguito a ottobre con un messaggio all’Assemblea generale della CEI. In gennaio con una lettera ai Vescovi sulla responsabilità dei cattolici di fronte alle sfide dell’attuale momento storico e in cui lanciava la proposta di una gande preghiera per l’Italia; infine il 14 marzo 1994 la celebrazione della preghiera per l’Italia.
Un percorso ricco che merita di essere ricordato anche perché rimane una sorgente di giudizio utile anche nella presente temperie. Nella lettera per la Settimana Sociale il Papa sottolinea l’importanza di quell’incontro anche per la cultura e la prassi politica italiana, purché si tenga ferma “la preminenza per i valori spirituali e morali”.
Prende atto che in Italia è in corso una “revisione profonda della propria identità civile e politica”, che serve “un aggiornamento delle istituzioni” e ricorda che “una solida formazione cristiana può offrire orientamenti sicuri per favorire il “cambiamento”[è il Papa a mettere la parola tra virgolette] e per superare le nuove e spesso tragiche situazioni di insicurezza, di ingiustizia e di emarginazione”.
Riafferma l’importanza e il ruolo della nazione (“una realtà umana di valore fondamentale avente diritto a una propria identità e a un proprio sviluppo”) così che “se in una nazione, ed è il caso attuale dell’Italia, la politica è in crisi è questa stessa a dover essere restituita al suo ruolo, così come al loro ruolo vanno restituiti la società civile, il mercato e le istituzioni”.
A trent’anni di distanza si percepisce quanto queste parole avrebbero dovuto essere maggiormente ascoltate. Ma ancora di più quelle successive ”la crescita della coesione nazionale, peraltro, dipende dalla sempre più ampia partecipazione popolare e non da disegni di “oligarchie” statuali di vertice”. Esattamente così si è evoluto il sistema politico da allora fino ad oggi con il conseguente crollo della partecipazione anche elettorale. L’intervento si chiude con il richiamo ai principi della dottrina sociale della chiesa, sussidiarietà, solidarietà e bene comune.
C’erano in questo intervento del Papa ai cattolici impegnati tutti gli elementi per reggere nella bufera del tempo con una proposta e una identità, ma non andò così.
Nel messaggio all’Assemblea della CEi il Papa ricorda ancora che la crisi “economica, sociale e politica del paese è segno e frutto di una crisi più grave: quella culturale etica e religiosa”. Il rimedio? Siamo chiamati a far ritrovare nella fede in Cristo la ragione ultima e la risorsa inesauribile per un impegno al servizio del bene comune” perché la vocazione dei fedeli laici è ”cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio” come insegna il Concilio.
Nella lettera ai Vescovi di gennaio il papa riprende alcune delle osservazioni precedenti esaltando in più il ruolo dell’Italia nel contesto delle nazioni, in particolare dell’Europa. “ Le tendenze che oggi mirano a indebolire l’Italia sono negative per l’Europa stessa e nascono anche sullo sfondo della negazione del cristianesimo” quindi denuncia il fatto che si vorrebbe “creare un’Europa, e in essa anche un’Italia che siano apparentemente “neutrali” sul piano dei valori ma che in realtà collaborino alla diffusione di un modello postilluministico di vita”.
E’ critico verso il percorso che sta assumendo l’Europa dopo Maastricht che sembra “ridurre il senso della sua esistenza e della sua azione ad una dimensione puramente economica e secolaristica” e affida all’Italia il “compito di difendere per tutta l’Europa il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma dagli apostoli Pietro e Paolo.” Il papa non nega la necessità del rinnovamento ma invita a ripercorrere con gratitudine gli anni che dal dopoguerra fino ad allora hanno consentito lo sviluppo dell’Italia.
Affida quindi ai laici cristiani di “testimoniare con coraggio la loro fiducia in Dio, Signore della storia e il loro amore per l’Italia attraverso una presenza unita e coerente e un servizio onesto e disinteressato nel campo sociale politico. Ancora un giudizio sulla situazione “E’ ovvio che una società ben ordinata non può mettere le decisioni della sua sorte futura nelle mani della sola autorità giudiziaria. Il potere legislativo e quello esecutivo, infatti, hanno le proprie specifiche competenze e responsabilità”.
Infine la proposta di una grande preghiera per l’Italia e con l’Italia, preghiera che farà sulla tomba di San Pietro il 14 marzo 1994. In questo testo il Papa ripercorre alcune delle tappe che fanno l’identità e la vocazione dell’Italia. Inizia dai santi apostoli Pietro e Paolo che innestano il cristianesimo a Roma, Roma che è simbolo anche del martirio come appartenenza e testimonianza di Cristo e i martiri diventano semi di civiltà. Ricorda San Benedetto, costruttore dello spirito europeo, e le missioni che portano il cristianesimo in tutta Europa e, grazie ai santi Cirillo e Metodio, anche alle popolazioni slave. Ricorda il grande papa Gregorio VII e il conflitto con l’Imperatore per riaffermare quello che è di Cesare e quello che è di Dio; e ancora San Francesco e San Tommaso d’Aquino, Santa Caterina da Siena e anche Galileo che “aprì la strada alla scienza moderna”.
Alla storia antica aggiunge due figure contemporanee, Alcide De Gasperi e Giorgio La Pira. Un testo breve ma molto significativo che può essere ripreso anche oggi per farsi continuatori della vocazione di questa nazione perché “gli attuali figli e figlie dell’Italia diventino degni di una così significativa eredità e sappiano esprimerla nella loro vita presente individuale, familiare e sociale, nell’economia e nella politica”. Un augurio e un impegno del tutto attuali.
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